La sfida dei nuovi populismi in Italia e in Europa

 Introduzione: un fenomeno ricorrente

Le tendenze populiste, anti-oligarchiche, sono un fenomeno coessenziale alle democrazie e ricorrente, soprattutto nei periodi di crisi.

Richiamarsi in modo romantico, indistinto ad un “popolo” indeterminato, che dà peraltro nelle lingue latine un’idea di unità (in esse, a differenza dell’inglese, popolo è singolare) è un mito dell’innocenza suscitato da nuovi imprenditori politici che cercano di liberare gli elettori dalle loro appartenenze pregresse gestite da forze usurpatrici che avrebbero violato quell’innocenza, espropriando il popolo che è a fondamento del sistema. 

 

  1. 1.      Caratteristiche nuove nell’Europa di oggi a partire dalla frattura tra policies europee e politics nazionali

In Europa, oggi, il fenomeno ha però caratteristiche nuove: esso parte dalla rottura tra i luoghi dove si decidono le policies  (che sono in larga parte a livello dell’Unione europea, come prodotto soprattutto dei negoziati di governo) e luoghi di politics, del gioco politico, che sono rimasti nazionali.

Ci sono populismi di Governo, di forze che presentano scelte impopolari come derivanti dall’Europa per evitare di perdere consenso, qui il populismo è una sorta di parafulmine su cui scaricare le responsabilità, basti pensare alle elezioni per il Parlamento europeo che divengono panacea per i mali interni; allo stesso modo operano alcune forze territoriali che governano i loro territori in polemica contro il Governo centrale. Anche gli argomenti anti-mercato sono spesso usati da governanti in questa chiave quando in realtà le scelte economiche non sono mai il prodotto di dinamiche autonome, ma fanno comunque leva su scelte politiche.

Ci sono poi populismi di opposizione che assimilano nella loro critica polemica istituzioni nazionali, sovranazionali e mercati nonché altre realtà viste come portatrici di crisi: alcune sono classificabili sul tradizionale continuum destra-sinistra come quelle di estrema destra che usano la polemica anti-immigrati o come quelle di estrema sinistra che fanno appello ai diritti eludendo il tema della sostenibilità finanziaria; altre invece si muovono fuori da quello schema puntando sulla frattura alto-basso, élites-popolo (il fenomeno Grillo in Italia, i piraten, ecc.).

L’effetto complessivo, dato che queste ultime forze non sono normalmente associabili al Governo almeno a livello nazionale,  è quello di restringere complessivamente il consenso alle forze tradizionali e di rendere più probabile la formazione di grandi coalizioni (in realtà rimpicciolite) tra di esse, dalla Grecia fino alla Germania dell’anno prossimo.

  1. 2.      Specificità dell’Italia: debolezza delle istituzioni, sperimentazione delle primarie

In tutto ciò l’Italia presenta alcune caratteristiche peculiari, di cui la prima è l’estrema debolezza delle istituzioni a livello nazionale, in particolare del Governo, per cui la crisi dei partiti si rovescia in modo pressoché immediato sulle istituzioni.

La debolezza costituzionale del Governo, non più supportata dal sistema dei partiti (quello della cosiddetta prima Repubblica fondato sulle fratture della Guerra Fredda non resse al 1989, quello della Seconda non sembra reggere alle difficoltà di istituzionalizzare a destra il carisma di Berlusconi e alle difficoltà a unificare a sinistra i riformismi in un partito dominante) può in via d’emergenza trovare una supplenza nella stampella presidenziale, come accade con gli esecutivi tecnici, ma non è un rimedio di sistema. In questo emerge tutta la differenza con la Francia della V Repubblica, in cui istituzioni forti risolvono in via permanente le tendenze alla frammentazione del sistema dei partiti, ivi comprese le spinte populiste. Un sistema in cui più di un terzo degli voti va a forze non in grado di governare produce comunque alla fine una governabilità coerente senza ricorrere alle grandi coalizioni.

In positivo, però, l’Italia è anche il Paese in cui si sono tentati rimedi capaci di ridurre la frattura, come le primarie aperte agli elettori, imitate poi in Francia, che rispondono anche alla crescente mobilità degli elettori, virtù che fa aumentare la qualità democratica di un Paese.

  1. 3.      Il ruolo della Chiesa: tra eredità europeista alta e rischi involutivi

Tutto ciò non lascia indenne la Chiesa cattolica.   

Per un verso essa possiede un patrimonio di cultura, anche politica, in grado di aiutare a trovare vaccini efficaci al populismo. La Chiesa è per sua natura sovranazionale e sa quindi, anche sulla base di esperienze laicali come quelle di de Gasperi, Adenauer e Schumann, che hanno anticipato il Concilio Vaticano II, che una sovranazionalità democratica è la chiave di sviluppo adatta.

Per altro verso, però, anch’essa, soprattutto attraverso alcuni movimenti ha dentro di sé esperienze che si presentano come vera società, come vero popolo, che saltano la fatica del pluralismo, e che quindi sono dentro dinamiche di isolamento populista, puntando a rinchiudersi nelle società europee in cui sono più consolidati sistemi concordatari, in nome di difese talora astratte di principi.

Il discrimine resta in fondo quello sgenato dalla Dignitatis Humanae: affidarsi con coraggio all’idea che la verità (e i principi in cui si concreta) acquistano la loro forza nella libertà e quindi nell’allargamento di orizzonti oppure dar retta ai profeti di sventura. L’11 ottobre 1962 Giovanni XXIII aprì la finestra per la prima strada, ma è una scelta da ripetere tutti i giorni, anche 50 anni dopo.